“Fare casa”: retrospettiva e appunti

“Fare casa” è stata un’attività lunga e travagliata, costellata di imprevisti di ogni genere e da cui ho imparato molto. Ho deciso quindi di scrivere alcune note sintetiche per il giorno in cui mi dovessi accingere nuovamente a una follia simile, o perché no per mettere in guardia chi si appresta a fare lo stesso e per caso è finito su questa pagina.

Nel mio caso la genesi è stata il voler provare a riutilizzare una specie di magazzino in una casa “di famiglia”, pensato per poter essere un giorno trasformato in appartamento. La proprietà di quest’unità immobiliare (non registrata come abitazione) era frammentata e in minima parte anche mia, da qui anche complicazioni in fase di pagamento IMU che volevo andare a risolvere una volta per tutte.

Cambio di destinazione d’uso

Prima di prendere ogni decisione fatevi fare un preventivo (grazie al …), ma accertatevi anche di quale potrebbe essere l’importo degli oneri comunali per il cambio di destinazione d’uso se l’unità in questione non è registrata come appartamento. Questi sono proporzionali al volume (non alla superficie), quindi l’importo non è così scontato, e nel mio caso ad esempio è risultato essere di alcune migliaia di euro inferiore rispetto a quello che mi aveva anticipato il geometra che ho contattato per seguire la pratica. C’è da dire però che a parte alcune centinaia di euro di oneri di segreteria, il resto può essere messo in detrazione al 50% per la ristrutturazione.

Sulle donazioni

Io ho avuto bisogno di fare un “accorpamento” dal notaio per gestire il caos di varie proprietà frammentate, con la donazione in seguito da mio padre. In questo frangente ho capito come ci siano due opzioni e due fazioni (?): chi opta per la donazione perché i costi sono minori, e chi preferisce la compravendita perché mette al riparo (?) da eventuali terzi incomodi in futuro.
La questione è che molti purtroppo sono consigliati – da persone senza tanti scrupoli – a “inscenare” una compravendita per mettersi al riparo da futuri creditori e da eventuali futuri eredi che dovessero presentarsi all’incasso, senza chiarire che una compravendita simulata oltre a costare di più non mette al riparo da niente ed è reato, specialmente se portata avanti con l’emissione di un assegno scoperto. Prima di fare qualunque cosa parlate con un notaio in modo chiaro e valutate tutte le alternative.
Può essere saggio farsi fare una stima precisa di ciò che si riceve, in modo da avere dei riferimenti qualora un giorno si presenti qualcuno di inaspettato.

Sopralluoghi e accampamenti

Una cosa che purtroppo non ho fatto anche se avrei potuto, è stata quella di passare alcuni giorni nell’appartamento in questione (e notti, portandoci un materassino e un sacco a pelo). Questo mi avrebbe permesso di identificare tutta una serie di rumori e forse avrei potuto metterci delle pezze o decidere diversamente. Il problema è che sebbene ci siano “recenti” normative in merito, il comfort acustico è stato più o meno bellamente ignorato per decenni da imprese di costruzione e geometri, anche quando non avrebbe dovuto più dovuto esserlo. I tubi di scarico e dell’acqua sono coibentati? Sono stati messi gli isolamenti tra solaio e massetto? Ci sono ponti acustici? Inoltre: i vicini hanno passatempi rumorosi? Sulla strada vicino a casa è solito passare qualche mezzo estremamente rumoroso?
Sono tutte domande a cui è bene trovare una risposta prima di prendere una qualunque decisione, specialmente se (al 2019) il resto di casa ha poco più di dieci anni…

La ristrutturazione

Giusto le fasi salienti, con alcune sottolineature nei punti dove si potrebbero commettere sbagli significativi.

Suddivisione degli spazi, disegno di cucina e bagno

Cercate di farvi disegnare la cucina non appena la planimetria è “decisa”, questo per valutare se la suddivisione degli spazi può essere fatta in modo migliore. La cucina ha bisogno di tutta una serie di tracce, e sarebbe bene predisporre la stanza per l’utilizzo quanto più possibile di basi ed elettrodomestici a dimensioni standard, anche per risparmiare. Considerate anche che eventuali cambiamenti nella suddivisione delle stanze potrebbero portare le stesse ad avere meno superficie finestrata del necessario, e questo potrebbe rendere necessari ulteriori aperture o lavori su quel fronte a meno della perdita del permesso a costruire.
Discorso molto simile per il bagno, anche se in questo caso i componenti sono meno e il lavoro è certamente più veloce.

Se posso dire la mia: cucina e bagno devono essere ragionati in modo da rendere le operazioni giornaliere il più veloci e comode possibili, per facilitare la pulizia ed eventuali manutenzioni.

Prestate attenzione a seguire per quanto possibile la disposizione delle stanze negli altri piani o negli appartamenti adiacenti, specialmente per quanto riguarda bagni e cucine, non vorrete trovarvi con degli scarichi che vi passano proprio sopra la testa mentre dormite…

Massetto e isolamenti

Il massetto ha bisogno di uno shock termico per stabilizzarsi, vale a dire che deve essere riscaldato pesantemente per alcuni giorni. Questa cosa alcuni “professionisti” la considerano facoltativa, ma in realtà sarebbe necessaria, e oltre a portare via tempo costa anche parecchio se fatta utilizzando l’elettricità (a me sono partiti più di 300€ per questo scherzo non messo a preventivo).

Considerate che l’altezza minima del soffitto per richiedere l’abitabilità è 275, e se avete bisogno di fare controplaccaggi/controsoffitti per esigenze di acustica, potreste dover rinunciare a qualcosina sotto i piedi, come per esempio il riscaldamento a pavimento.
Se non siete a piano terra non lesinate sugli isolamenti a terra, potendo è meglio abbondare, ne va dell’armonia con i vicini. E nei casi peggiori non rischierete di perdere della cause.

Possibile controsoffitto di emergenza

Se ci si ritroverà ad aver bisogno di metterci una pezza, un controsoffitto “abbastanza compatto” che mi è stato consigliato è composto da: un cm di spazio vuoto (con le guide su cui attaccare il resto), due cm di lana di roccia, un cm di fibra di legno, un cm abbondante di cartongesso LaDura Plus. L’efficacia è pressoché nulla sotto i 100/120 Hz, ma poco dopo arriva a un guadagno di 15/20 dB.
Tenete a mente però che i rumori del piano di sopra si propagano sì attraverso il soffitto ma anche lungo le pareti, quindi se si procede con un controplaccaggio può aver senso far rivestire la/le pareti con cartongesso prima di fare il controsoffitto… spazio e finanze permettendo ovviamente.

Pavimento e piastrelle

Il costo della posa delle piastrelle è inversamente proporzionale alla loro dimensione fino a un certo punto, con piastrelle molto grandi questo poi aumenta per la maggior difficoltà a posizionarle. Le piastrelle molto grandi aumentano lo scarto, ma lo scarto può essere usato facilmente come zoccolino (se si prende questa strada). Una volta scelte le piastrelle decidete con il piastrellista da dove partire, e sebbene spesso l’estetica la faccia da padrona forse il primo riferimento dovrebbe essere quello di come è suddiviso il massetto, perché se le mattonelle non si ritrovano a cavallo di queste “placche” forse ci si possono risparmiare spiacevoli fratture in seguito.

Se sotto di voi abita qualcuno prima di fare il pavimento valutate se aggiungere un isolamento acustico sotto-pavimento (tra pavimento e massetto). Non è la soluzione ideale rispetto all’isolamento tra solaio e massetto, ma può essere un buon piano B se questa manca o non è stata fatta nel migliore dei modi.

Zoccolini

Andando contro il parere di tutti quelli che ho sentito, io ho optato per gli zoccolini in legno bianco, come tutte le pareti e gli stipiti delle porte. Il pavimento è in gres grigio non particolarmente scuro e nemmeno troppo uniforme. Il risultato è esattamente come me lo figuravo, molto luminoso e spazioso, e il pavimento non sembra mai sporco nonostante viva in campagna. Però: gli zoccolini ricavati dal gres sono più semplici da installare, si riutilizza lo scarto del piastrellista, e se ho capito bene è più difficile che dietro vi si annidino degli insetti.

All’inizio pensavo di far installare quelli passacavi da ufficio, ma devo dire che sono contento di non averlo fatto perché il costo era parecchio superiore e a conti fatti non li avrei sfruttati granché.

Idralica e impianti

Una cosa semplicissima da mettere: un filtro auto-pulente a monte dell’impianto, perché costa pochissimo e può evitare pulizie dell’impianto a seguito per esempio di rotture. Una cosa che può aver senso mettere è un addolcitore, valutate quanto è dura l’acqua con gli appositi strumenti e tirate le somme, tenendo conto che meno calcare significa anche una durata maggiore di rubinetteria, lavatrice e lavastoviglie.

Riscaldamento e acqua calda

Questa è sicuramente la sezione più complicata. Diciamo che io alla fine ho optato per un riscaldamento a pavimento con pompa di calore, la cui unità esterna fa funzionare anche un grosso condizionatore.
La pompa di calore ha un accumulo di acqua calda sufficiente a una piccola famiglia e un piccolo accumulo anche per l’acqua che serve al riscaldamento, in questo modo non ho dovuto aggiungere serbatoi esterni e ho potuto evitare locali tecnici. Pro di questa soluzione: il riscaldamento a pavimento non ha bisogno di temperature alte, e in questa modalità la PDC consuma poco e regge bene anche all’abbassarsi delle temperature. Avendo un fotovoltaico da 3kW cerco di sfruttare la PDC al massimo quando c’è il sole, così da usare tutta l’elettricità per i consumi domestici, stesso discorso in estate con il condizionatore, che a dire il vero uso abbastanza poco. In inverno se attacco il riscaldamento alle nove e lo stacco alle quattro del pomeriggio, anche se l’appartamento non ha una classe energetica eccezionale la capacità termica del pavimento è tale che la temperatura rimane quasi costante fino al mattino.

Ci poteva stare un impianto solare termico sul tetto per riscaldare l’acqua, ma a conti fatti non mi avrebbe aiutato granché perché in estate la PDC scalda l’acqua con un niente, e in inverno il solare termico non aiuta moltissimo. Ad avere spazio per un locale tecnico (per le vasche di espansione) e l’accesso facile al tetto forse poteva aver senso, ma avrebbe anche reso più complesso e “fragile” tutto l’impianto.

Avrei potuto utilizzare le serpentine sotto al pavimento anche per il raffreddamento estivo, ma la cosa mi è stata sconsigliata perché a detta di alcuni la condensa avrebbe fatto inumidire i pavimenti di tutta casa, a meno di installare costosi de-umidificatori nelle varie stanze.

Un errore certo, anche se marginale: il condizionatore poteva funzionare in alternativa all’impianto a pavimento se ci fosse stata portata la linea dell’acqua calda, cosa che purtroppo non è stata fatta e devo ancora capire il perché. Peccato perché così quell’attrezzo in mezzo alla sala così se ne sta spento per nove mesi l’anno, l’impianto a pavimento ha un’inerzia notevole, e in casi di bisogno avrei potuto usare quel grosso termoconvettore alimentato da PDC al posto di stufette improvvisate.

Stufa a legna

Come aiuto per la stagione fredda ho messo una stufa a legna indipendente che può essere usata anche per cucinare. Più piccola ed economica di un camino, anche lei arreda abbastanza e fa una bella fiamma.
Qui c’è stato da perdere un po’ di tempo perché ho scoperto troppo tardi che le canne fumarie a mia disposizione non erano adatte alla stufa che ho scelto inizialmente (troppo piccola quella per la caldaia, troppo grande quella per il camino), e in un secondo momento mi sono reso conto che questa seconda canna fumaria non poteva essere intubata a causa di serpentine fatte all’interno del solaio nel piano di sopra. Alla fine ho risolto prendendo una stufa meno efficiente che ha bisogno di un tubo più grande ma non troppo più piccolo di quello del camino, e il tiraggio risulta essere buono.

Impianto elettrico

Non molto da dire, giusto un paio di accorgimenti che consiglio.
Il primo è un interruttore astronomico per le luci esterne, per evitare di dover stare sempre ad accenderle a mano (anche per quella sopra il portone d’ingresso).
Seconda cosa forse più importante è quella di aggiungere un gruppo di continuità sul circuito delle luci. Questo per tre motivi: se avete delle luci accese e state facendo qualcosa, queste rimangono accese abbastanza a lungo per finire l’attività in caso di mancanza di corrente; uno “online” agisce anche da stabilizzatore e puoi aiutarvi a far durare di più le luci; vi risparmiate l’installazione delle luci d’emergenza.

Impianto di aspirazione centralizzato

Questa è una chicca che può aver senso predisporre specialmente in una casa con più abitazioni, ma nel qual caso valutate bene dove installare l’unità centrale di aspirazione per una questione di rumore e di accesso per la pulizia del filtro. Inoltre conviene prendere un tubo e valutare bene dove piazzare quelle due/tre/quattro bocchette, perché il rischio è che vi ritroviate con delle bocchette con cui non riuscite ad arrivare in tutta casa. Io all’inizio non le volevo far mettere perché le vedevo come una spesa extra nonostante nella casa ci fosse già un’unità di aspirazione, poi all’ultimo ho chiesto di far mettere due bocchette piazzate in modo da coprire il massimo della superficie, ma così facendo ho lasciato fuori un pezzetto di sala e la cucina. Facendone mettere tre avrei speso qualcosina in più ma avrei potuto usarlo in tutta casa oltre che fuori (per l’auto per esempio). Finisce che non lo uso mai perché vado sempre di scopa ma comunque è un attrezzo che ha il suo perché.

Illuminazione

Se optate per delle strisce a led su profili di alluminio preparate dall’elettricista, come me, tenete a mente che i profili di alluminio sono soggetti a dilatazione termica perché le strisce di led scaldano parecchio. Questo comporta dei rumori sia da accese che una volta spente, rumori che si propagano sul muro e possono sentirsi anche dalle altre stanze. Tenete conto che potreste sentire come “dei rintocchi” saltuari in camera per un po’ di tempo (anche un’ora o due) se dall’altra parte del muro (in sala) avete lasciato accese quelle luci per un po’. Storia vera.

Echi e riverberi

Stanza enorme: eco.

Modi per ridurlo: riempire di mobili in modo da occupare il volume e le pareti (magari delle belle librerie piene di libri), montare delle tende a finestre e porte-finestre.

Volete lasciare la stanza vuota, le pareti spoglie o quasi e non vi piacciono le tende? Allora vanno applicati dei pannelli fono-assorbenti, magari al soffitto. Se ne trovano di vari tipi, dimensioni, colori e materiali.

Per concludere

Il mio approccio in sintesi è stato: “ottimizzare” bagno e cucina, camera e cameretta di dimensioni non eccessive e senza perderci troppo tempo, il resto di casa uno stanzone unico per guadagnare in versatilità, ovviamente predisposto per la suddivisione futura con pareti di cartongesso e per l’installazione di un nuovo bagno (senza bisogno di spaccare il riscaldamento a pavimento).

Inutile dire che una di queste pareti che ho voluto lasciare spoglie ora serve a riflettere le luci colorate di un proiettore installato a soffitto, le cui tracce sono state fatte prima di quelle delle luci 😉

Su rifiuti, riciclo e inceneritori

Immagine tratta da “C’era una volta la Terra”, episodio di “C’era una volta l’uomo”

Premessa: non sono del settore, e ho deciso di buttare giù due pensieri sull’argomento solo perché ogni tanto scrivere un temino non fa male, per vedere la nuova versione di WordPress e perché volevo rispondere a dei tizi su Twitter, che come è noto non si presta molto alle conversazioni dettagliate.

Il tweet è questo: https://twitter.com/sebmes/status/1148574456438231041
Si parla dell’impossibilità di risolvere l’emergenza rifiuti di Palermo, che imperversa ormai da tanti anni, e dell’opposizione nella regione alla costruzione di un termovalorizzatore, sinonimo politicamente corretto di inceneritore.

Nota: a Palermo ci “ho vissuto” per più di un mese tra gennaio e marzo 2019, in centro, e ho toccato il problema con mano. Per più di un mese ho fatto la differenziata a casa, cercando di separare tutto per bene e buttando via una/due volte a settimana soltanto l’umido (nei grossi bidoni neri stradali con tutto il resto, per la gioia dei gabbiani); alla fine non sapendo dove buttare plastica, carta e metalli anche questi hanno fatto la stessa fine… ma almeno li ho lasciati separati (speravo di trovare una soluzione negli ultimi giorni ma poi per mancanza di tempo ho evitato giri assurdi). L’idea che mi sono fatto è che alle persone non interessa, non per niente tutte le persone che ho interpellato – giovani e meno giovani – tutte mi hanno invitato a non farmi problemi “tanto va bene uguale”. Per la cronaca una situazione non molto diversa dal punto di vista del menefreghismo l’ho trovata a Edimburgo (ci ho passato due mesi nel 2017), ma lì almeno lungo la strada ogni tanto un contenitore per la differenziata c’era…

A casa mia nelle Marche la raccolta differenziata si è sempre fatta: plastica e carta separate per loro conto e ammucchiate per qualche settimana prima di portarle dove si conveniva, il metallo lo raccoglieva il ferracciaro e l’umido andava nella compostiera, aka “il grasciaro”. Poi piano piano ci si è evoluti e da qualche anno abbiamo persino la raccolta porta a porta. In quest’angolo di mondo quasi tutti i paesi stanno nell’intorno del 70% di differenziata, e in alcuni comuni virtuosi si fa anche di meglio. I dati relativi al mio paese si possono consultare qui.
Sarà che da piccolo mi rimase impressa questa puntata di C’era una volta l’uomo ma a me l’idea di vivere in mezzo all’immondizia ha sempre spaventato (quella puntata finiva con gli stati che si tiravano i rifiuti a vicenda perché non si sapeva più dove buttarli…).

Inceneritori e rischi per la salute

Quello degli inceneritori è un argomento controverso. Secondo alcuni sono fabbriche di morte perché disperdono nell’aria una gran quantità di micro-nano-pico o non so cosa polveri, per altri sono l’invenzione del secolo perché permettono di recuperare energia da materiale totalmente inutile ed emettono soltanto aria pulita.
Per quanto mi riguarda la verità sta da qualche parte a metà strada, e ci sta che in un paese ci siano degli inceneritori, a patto che siano sotto controllo statale, che si paghi per portarci i rifiuti e che siano costruiti con le ultime tecnologie e il più possibile lontani da centri abitati.

Studi ne sono stati fatti tanti qui ad esempio uno commissionato dal Comune di Pisa in cui si rilevano potenziali rischi per la salute anche se con numeri statisticamente non significativi, anche se “le mamme” chiaramente non vogliono saperne di rischi… non a torto secondo me. Tra l’altro mia sorella ha tre figli piccoli e so come ragiona.

Parlando delle polveri a me risulta difficile credere che una volta bruciata una tonnellata di rifiuti resti soltanto una piccola frazione di ceneri, un po’ di energia recuperata, e tanta aria pulita, principalmente perché questa cosa va contro la legge di Lavoisier. Scrivo questa cosa però senza alcuna certezza perché non ho numeri e non ho studiato chimica.

Dulcis in fundo, anche se è un po’ fuori argomento, il controsenso di bruciare ciò che è complesso per ricavarne semplice energia quando quella complessità, che ha richiesto moltissima energia per formarsi, potrebbe essere riutilizzata con un cambiamento di forma minimo e dispendio di energia minimo. Non fa male ricordare che viviamo in un mondo quasi completamente isolato (a parte l’irradiazione solare) e con risorse finite, e sarebbe bene aver cura di ciò che ci passa per le mani.

L’assurdità degli incentivi pubblici agli inceneritori privati

Ricordo un’inchiesta di Report in cui si sottolineava come il giro di soldi attorno all’incenerimento dei rifiuti era la più grande zavorra alla gestione intelligente dei rifiuti, ovvero la raccolta differenziata con conseguente riciclo.

UOMO 1
Se bruci qualcosa incenerisci. Poi, lo vuoi chiamare termovalorizzatore, termo…come c…o ti
pare però è sempre un inceneritore.

UOMO 2
Logicamente che interesse c’è a riciclare quando poi lo Stato finanzia privati con i soldi pubblici
per incenerire i rifiuti?

https://www.report.rai.it/dl/docs/1317375313971oro_di_roma_pdf.pdf (il filmato purtroppo credo non sia più disponibile)

A distanza di tanti anni i problemi di Roma non sono stati risolti e al contrario sono divampati in estate come succede più o meno tutti gli anni: https://www.nextquotidiano.it/rifiuti-roma-report/
Inutile sorprendersi visto che gli attori in gioco non hanno alcun interesse (economico) a risolverli.

Conclusioni

Non sono un giornalista, e stando tutto il giorno davanti al computer non me ne va di passarci troppe ore anche prima di andare a letto. Concludo con i “miei due centesimi” su quello che è un problema complesso e che troppe volte si cerca di risolvere con soluzioni sbrigative.

In natura i rifiuti non esistono, tutto ciò che è rifiuto per un anello della catena è un’utile risorsa per un altro. Una volta nemmeno l’umanità ne produceva tanti, perché si cercava di riutilizzare tutto il più possibile, mentre da qualche decina d’anni si è incominciato a produrre una quantità immonda di scarti e non si prova più nemmeno a riutilizzarli perché con “il benessere” non ha senso perdere tempo per cercare di recuperare tutto, meglio buttare ciò che non serve…

Il problema dei rifiuti si risolve con tanti piccoli accorgimenti quotidiani di ciascuno di noi:

  1. se una cosa può servire non va buttata, se è riparabile va riparata, se non serve più ma a qualcun altro può servire bisogna venderla/regalarla, così da allungare la vita dei prodotti
  2. differenziare, sempre e comunque, perché è un comportamento dal basso che può spingere le amministrazioni a far sì che i rifiuti differenziati siano raccolti separatamente e riciclati
  3. se proprio fare la differenziata non ha senso o non è possibile per mancanza di spazio, conviene comunque separare l’umido ammucchiando tutto il resto insieme, perché l’unica cosa che puzza dopo pochi giorni è l’umido
  4. raccolta porta a porta o centralizzata (con incentivi alla popolazione) poco importa: bisogna spingere affinché le amministrazioni si occupino di far riciclare tutto il possibile
  5. acquistare le merci che hanno meno imballaggi (magari lasciandoli in negozio se superflui)
  6. bisogna scegliere le merci i cui imballaggi residui sono più facilmente riciclabili
  7. evitare l’utilizzo di ogni usa e getta non biodegradabili (sperando che vengano tutti resi illegali prima o poi)

Ci può stare che la parte residua venga bruciata per recuperare energia, ma producendone pochi quest’esigenza viene meno e potenzialmente si può anche decidere di lasciarli in discarica… la bellezza della scelta.

Postscritto

Visto che su Twitter sono arrivate altre critiche, rispondo anche a queste.

  1. “non statisticamente significativo” non vuol dire “piccolo” vuol dire che non c’è: nì, perché con la statistica si può dimostrare tutto e il contrario di tutto (un po’ l’ho anche studiata), dipende chi conduce la ricerca e come interpreta i dati. In fatto di salute bisogna sempre usare cautela, e sparare in cielo “aria arricchita” non è certo che non possa far ammalare qualcuno, questa cosa è in permanente corso di verifica.
  2. i “non sono un esperto ma non credo agli esperti” sono il male della nostra società: vale quello che ho scritto sopra, mi piace pensare che gli esperti abbiano ragione, e infatti non escludo a priori la costruzione di inceneritori; dico soltanto che dovrebbero essere l’ultima risorsa, per tutti i motivi spiegati. Se non altro ho specificato che non essendo un esperto le cose che ho scritto potrebbero essere minchiate. E comunque non vedo che male c’è ad esprimere un parere su Twitter, boh.
  3. la soluzione passa anche dagli inceneritori: nì. In un mondo giusto non dovrebbe essercene bisogno, ma il nostro non lo è. Essendo in Italia la terrei proprio come ultima carta da giocare anche per evitare quello che è successo a Roma, ovvero il fallimento pilotato della differenziata perché non c’era l’interesse economico a farla funzionare. Riducendo al massimo sprechi e scarti, rendere questi riciclabili e riciclando tutto il possibile, la quantità residua di rifiuti sarebbe talmente bassa che se ne potrebbe fare anche a meno di bruciarla… così magari per usare gli inceneritori che ormai avremo poi potremo chiedere agli altri paesi di mandarci la loro tanto per non sottoalimentarli…

Piccole automazioni con Powershell

Molti si chiedono perché esiste Powershell e a che pro bisognerebbe incominciare a usarlo. Me lo sono chiesto anch’io quando un ex collega ha iniziato a introdurlo in azienda preferendolo ad altri linguaggi più o meno di scripting.
Il primo risultato che mi ha restituito Google alla domanda “Why Powershell”: Why Powershell?

Ebbene, anche a non aver bisogno di mandare razzi sulla Luna è uno strumento che è giusto conoscere, specialmente se si lavora con tecnologie Microsoft ma non necessariamente. Un gran bel punto a suo favore è inoltre la facilità con cui si può sviluppare e debuggare uno script utilizzando Visual Studio Code, indipendentemente che ci si trovi su Windows, macOS o Linux. Tra l’altro quando si ha bisogno di automatizzare un qualche processo si finisce per usare quasi sempre le stesse istruzioni combinate in modo diverso, quindi appena se ne hanno alcuni a portata di mano diventa tutto un copia-e-incolla.

Qui sotto un semplice esempio di script Powershell che:

  • Compila un progetto .NET
  • Prende soltanto file dll e exe generati e li comprime in un archivio
  • Legge una stringa dal file .csproj (xml) per utilizzarla come nome del file zip
  • Prende in ingresso un parametro come argomento dello script (usandolo eventualmente come nome del file zip)
  • Utilizza un metodo del .NET Framework (System.String.IsNullOrWhiteSpace)

Dubito che qualcuno abbia bisogno di fare le stesse cose e in quest’ordine, ma anche preso a pezzi può comunque tornare utile (a me senza dubbio).

$workingDir = "./"
$projectName = "Dotnet.Project.Test"
$projectDir = "./src/$projectName/"
$csProjectFile = "$($projectDir)$($projectName).csproj"
$buildDir = "$($projectDir)bin/Release"

# args[0]: version
$interactive = $args.Length -eq 0 # if interactive can prompt questions

if ($interactive -eq $true) {
    $versionFromFile = (Select-Xml -Path $csProjectFile -XPath '/Project/PropertyGroup/Version' | Select-Object).Node.InnerText
    $versionToUse = Read-Host -Prompt "Current version is $versionFromFile, write anything if you don't want to use this one"
    if ([string]::IsNullOrWhiteSpace($versionToUse)){
        $versionToUse = $versionFromFile
    }
} else {
    $versionToUse = $args[0]
}

$zipFileName = "$versionToUse.zip"
$zipFile = "$workingDir/$zipFileName"

if (Test-Path $zipFile) {
    if ($interactive -eq $true) {
        $ShouldDeleteZip = Read-Host -Prompt "File $zipFileName already exists. Would you like to delete it now? [y/N]"
        if ($ShouldDeleteZip -eq "y") {
            Remove-Item $zipFile
        } else {
            Read-Host -Prompt "Impossible to continue without removing $zipFileName file, press a key to exit"
            Break
        }
    } else {
        Write-Host "Existing $zipFileName file, deleting it..."
        Remove-Item $zipFile
    }
}

Write-Host "Building $projectName..."

Start-Process -WorkingDirectory $workingDir -Wait -NoNewWindow -FilePath "dotnet" -ArgumentList "build ""$($csProjectFile)"" -c Release"

Write-Host "Compressing archive $zipFileName..."

Get-ChildItem -Path $buildDir |
    Where-Object { $_.Extension -eq '.dll' -Or $_.Extension -eq '.exe' -Or $_.Extension -eq '.config' } |
    Compress-Archive -DestinationPath $zipFile -Update

if (Test-Path $zipFile) {
    Write-Host "File $zipFileName created"
} else {
    Write-Host "An unknown error occurred while compressing the file"
}

Read-Host -Prompt "Press a key to exit..."

Weee! Xamarin Forms anche su web “grazie a” Ooui

Chi frequenta il mondo .NET e in particolare quello di Xamarin non può non conoscere Praeclarum, al secolo Frank A. Krueger, sviluppatore al limite del mitologico con un profilo pubblico Github che tra le altre cose annovera sqlite-net (libreria per usare Sqlite con Xamarin) e Continuous (IDE per iOS sviluppato in F#).
Ebbene il buon Frank da giugno dell’anno scorso sta lavorando a Ooui, libreria nuget con cui far girare applicazioni Xamarin Forms su un browser.

Il logo è una puzzola

Detta così potrebbe sembrare quasi una minaccia perché è cosa nota che Xamarin Forms non vada proprio del tutto a genio a molti sviluppatori, e il sottoscritto è tra questi, ma è anche innegabile lo sforzo della Microsoft di far evolvere e stabilizzare questa tecnologia, quindi ben venga l’apertura di nuovi filoni che possano aiutare a farla crescere.

Come è stata accolto Ooui nell’ambiente

La faccio breve: seppur sia ancora un progetto quanto meno acerbo, si è manifestato un certo entusiasmo. L’idea di riutilizzare su più piattaforme la stessa base di codice e di conoscenze fa festa. Un bell’articolo da leggere è quello di Telerik, dove l’autore cerca di spiegare i vari approcci e il perché non bisogna a vederla come una rinascita di Silverlight.

https://www.telerik.com/blogs/xamarin-forms-on-the-web

Molto interessante anche il contributo di Adam Pedley altro soggetto che non si può non conoscere se si lavora con Xamarin, in cui Adam spiega come percorrere l’ultimo miglio per far diventare la nostra applicazione web basata su Xamarin.Forms una Progressive Web App a tutti gli effetti aggiungendo manifest e webworker.

https://xamarinhelp.com/create-a-pwa-in-xamarin-forms-with-ooui-wasm/

Il mio esperimento


https://decimaltime.azurewebsites.net/

Un orologio. Decimale. C’è un motivo, e potete leggerlo nel readme del repository. L’orologio è anche tra gli esempi di Xamarin e tra quelli di Ooui, ma nel nostro ci sono un po’ di casi in più: mix di binding e non, immagine di sfondo, popup, libreria nuget per il calcolo delle date… un esempio abbastanza interessante su come trasformare velocemente un’applicazione mobile scritta con Xamarin Forms in webapp utilizzando Ooui.
Nel repository trovate l’applicazione iOS, quella Android (pubblicata anche su PlayStore), l’applicazione web basata su WebAssembly, e quella web ma con backend in cloud e web-socket. Quella sopra è la versione “non wasm”, avviando quella wasm si nota che a differenza dell’altra vengono scaricate tutte le dll e che non si apre alcuna web-socket perché gira tutto in-process all’interno del browser, ma la trasformazione dei componenti Forms in Html5 funziona allo stesso modo.

La versione basata su web socket…

… e quella che usa wasm

Se per qualche misterioso e irrazionale motivo vi piace l’idea dell’orologio decimale con calendario repubblicano sappiate che su Azure ho pubblicato anche delle API web, basate sulla stessa libreria usata nell’app Xamarin Forms.

À la guerre!

Chat (Ro)bots con Microsoft Bot Framework

Da più di un mese volevo scrivere due righe introduttive su come si crea un bot utilizzando il framework Microsoft, e finalmente agli sgoccioli delle vacanze natalizie sono riuscito a raccogliere quel poco di voglia e tempo necessari.

Quella che segue è una rielaborazione – spero semplificata – di ciò che Giulio Santoli e Vito Flavio Lorusso ci hanno mostrato al Bot Revolution Lab dell’ultimo Codemotion di Milano.

Il repository Github: github.com/vflorusso/botrevolution/
Le slides: www.slideshare.net/gjuljo/bot-revolution-lab-at-codemotion-milan-2016

Alternative al framework Microsoft

Chiaramente questa della Microsoft è solo una delle tante opzioni per creare un bot e collegarlo ai canali che ci interessano, e cercando un po’ se ne trovano molte che possono essere migliori per certi aspetti e peggiori per altri.

La differenza credo la facciano il motore di comprensione del linguaggio (più o meno imprescindibile), il costo, il linguaggio di sviluppo, la compatibilità con i principali programmi di messaggistica, la modularità di tutte le varie componenti e la facilità di integrazione con api di terze parti. Tra le altre cose al Codemotion la Cisco (uno degli sponsor) ha mostrato Tropo, delle api con cui – pagando un tanto al chilo – si possono aggiungere funzionalità ai propri bot come la possibilità di effettuare chiamate con voce registrata o text-to-speech, di interpretare la voce di chi risponde utilizzando lo speech-to-text, di inviare sms… in sostanza è un mondo in grande evoluzione e con moltissimi contendenti.
Starli a descrivere a grandi linee sarebbe inutile, un po’ perché non li conosco e un po’ perché andrei off-topic, ritorno quindi sul framework Microsoft ipotizzando che sia “il migliore” in circolazione.

Panoramica sugli strumenti utilizzati

Il laboratorio del Codemotion è durato un’ora e mezza, e in questo lasso di tempo siamo partiti da un ambiente più o meno già configurato per lo sviluppo arrivando a collegare vari bot – pubblicati sulla propria macchina – a Skype, Telegram e Slack.
Si sono utilizzati vari strumenti, che conviene introdurre brevemente perché per lo più possono tornare utili a prescindere dai bot.

ngrok

Si pronuncia “en grok” ed è un sistema di tunneling – http ma non solo – utilissimo quando si vuole sviluppare qualcosa localmente rendendolo accessibile temporaneamente dal web ma senza aprire porte su eventuali firewall.
ngrok.com

Bot Builder SDK

L’sdk con cui scrivere il bot, in C# o NodeJS. Sul repository Github ci sono moltissimi esempi in entrambi i linguaggi.
github.com/Microsoft/BotBuilder

Bot Framework Emulator

Un emulatore desktop multipiattaforma con varie funzionalità utili per testare il proprio bot, sia in locale che dopo averlo pubblicato.
docs.botframework.com/en-us/tools/bot-framework-emulator

LUIS

“Language Understanding Intelligent Service”, ovvero le API Microsoft per la comprensione del linguaggio, utilizzabili in ogni genere di applicazione.
www.luis.ai

Visual Studio Code

Si può utilizzare l’ide o l’editor che si preferisce, ma Visual Studio Code può essere una soluzione ideale sia che si decida di scrivere in Javascript che in C#.
code.visualstudio.com

Preparazione dell’ambiente di sviluppo per l’sdk NodeJS

Per iniziare a sviluppare il proprio bot in locale:

  • procurarsi una versione aggiornata di NodeJS
    Nota: a me la versione 7 diede qualche problema e finii per usare la 6.9.x.
  • installare il bot framework emulator
  • scaricare l’eseguibile di ngrok e copiarlo dove rimane più comodo
  • inizializzare un progetto Node nella cartella di lavoro:
    npm init
  • installare le dipendenze del progetto:
    npm install botbuilder restify dotenv-extended --save

Se si vuole chiudere il cerchio andando a pubblicare il proprio bot collegandolo a un sistema di messaggistica:

  • pubblicare il proprio bot da qualche parte sul cloud (temporaneamente si può usare la propria macchina e ngrok)
  • farsi un account Microsoft su login.live.com
  • crearsi un account sui servizi di messaggistica che ci interessano (Slack, Skype, Telegram, …)

Bot Sanculotto – Salut world

L’obiettivo sarebbe stato quello di sviluppare un bot capace di dire all’utente la data o l’ora usando il calendario rivoluzionario/repubblicano francese o l’orologio decimale, con un minimo di capacità di interpretazione della domanda. In corso d’opera però mi sono reso conto che per sviluppare i pezzi che mi mancano ci avrei messo troppo, e che forse in questa prima parte era meglio fare una panoramica del framework, quindi per non fargli dire “Hello world” al momento Sanculotto risponde “Salut” a tutti.

var builder = require('botbuilder');
var restify = require('restify');

var connector = new builder.ChatConnector();
var bot = new builder.UniversalBot(connector);

bot.dialog('/', [
    function(session) {
        session.send('Salut');
    },
]);

/* LISTEN IN THE CHAT CONNECTOR */
var server = restify.createServer();
server.listen(process.env.port || process.env.PORT || 3978, function () {
   console.log('%s listening to %s', server.name, server.url); 
});
server.post('/api/messages', connector.listen());

Questo codice risponde “Salut” a qualunque tipo di messaggio, il resto se mai vedrà la luce lo metterò su Github e cercherò di sfruttarlo per una secondo articoletto.

Test in locale con il framework emulator

Conviene partire dal caso più semplice, sufficiente per sviluppare l’eventuale logica del bot – qui assente – senza stare a scomodare servizi in cloud e sistemi di messaggistica vari.

Configurazione dell’emulatore per rendergli accessibile ngrok

Avvio del bot con “node index.js”, per comodità possiamo usare il terminale integrato in Visual Studio Code

Test con l’emulatore dopo aver specificato l’endpoint locale

Collegamento con account Microsoft e test su Skype

Lo script è come quello di prima con la differenza che questa volta per creare il chat connector dobbiamo usare delle credenziali Microsoft.
Per far questo creiamo nella stessa directory dello script un file .env contenente le credenziali di cui sopra, e nello script le utilizziamo dopo aver caricato il modulo dotenv-extended. Le inseriremo nel file subito dopo aver registrato il bot sul portale della Microsoft.

require('dotenv-extended').load();
// ...
var connector = new builder.ChatConnector({appId: process.env.MICROSOFT_APP_ID, appPassword: process.env.MICROSOFT_APP_PASSWORD});
// ...
MICROSOFT_APP_ID=
MICROSOFT_APP_PASSWORD=

Registrazione del bot sul portale della Microsoft

Lancio di ngrok con ./ngrok http 3978

Un piccolo chiarimento sull’ordine temporale delle operazioni è d’obbligo.
Il portale Microsoft vuole sapere l’endpoint di pubblicazione del nostro bot, che in questo caso è ancora sulla nostra macchina. Sappiamo che la porta è la 3978 perché abbiamo messo in ascolto il nostro server node su quella porta, quindi avviamo ngrok per fare il tunneling http in quella posizione, e copiamo l’indirizzo di forwarding in https sul portale aggiungendo /api/messages perché è quella la nostra root.
A questo punto possiamo generare le credenziali (app-id e password) dal portale e copiarle nel file .env; se tutto è stato configurato correttamente dovrebbe ora essere sufficiente avviare l’applicazione per poter dialogare con il bot dall’interfaccia web del portale Microsoft. Inserendo l’endpoint completo e le credenziali generate sopra sull’emulatore possiamo testare l’applicazione anche con quest’ultimo.

Test dall’interfaccia web del portale Microsoft

Canali disponibili

Una volta registrato sul portale possiamo collegare il nostro bot su tutti i canali che si vuole, la lista è lunga. Naturalmente è necessario avere un account sul sistema di messaggistica che ci interessa, e la procedura di registrazione è diversa per ciascun canale. Quella di Skype chiaramente è la più semplice essendo tutta roba Microsoft, un paio di click e possiamo usarlo per comunicare con Sanculotto.

Test tramite Skype

Nota: ricordiamoci che per la Microsoft l’endpoint del bot è (ancora) l’url generato da ngrok, ed è dinamico. Ogni volta che arrestiamo e riavviamo quest’ultimo dobbiamo quindi andare a sostituire l’url sul portale, almeno finché non pubblichiamo il codice del bot da qualche parte in cloud.

Per concludere

Questa è chiaramente solo un’introduzione al framework, che al primo approccio potrebbe risultare un po’ ostile anche perché abbastanza modulare.
Su Github ci sono molti esempi di bot più o meno complessi, alcuni anche basati su Luis – le api di comprensione del linguaggio – che qui non ho affrontato minimamente un po’ perché meritano un articolo a parte e un po’ perché le ho viste solo cinque minuti più di un mese fa.

Il prossimo passo dovrebbe essere quello di dare a Sanculotto qualche capacità in più, perché al momento il suo rispondere sempre “Salut” a qualunque messaggio lo rende abbastanza poco utile. Conto di farlo nelle prossime due o tre settimane.
A grandi linee penso di pubblicare le api di calcolo del calendario in ASP.NET su Azure perché ho già del codice in c#, e il bot in Javascript sempre su Azure all’interno dello stesso service plan così da minimizzare il traffico tra i due; per l’interpretazione delle richieste in linguaggio naturale c’è Luis, che chiaramente dovrà essere istruito a dovere. In queste ultime quattro righe credo di aver riassunto le potenzialità di questo framework, la cui forza principale è l’enorme ecosistema Microsoft su cui può (ma non necessariamente deve) far affidamento.

Decompilare applicazioni Android di ogni genere, dal dispositivo ai sorgenti

Qualche tempo fa scrissi due righe su come utilizzare l’adb per andarsi a leggere le cartelle private di un’applicazione Android installata sul proprio dispositivo, cosa molto utile per esempio quando si vuole leggere i dati contenuti in un database sqlite.

Quest’oggi invece mi sono tolto la curiosità di provare a tirarmi giù dal telefono varie applicazioni – scritte nei modi più disparati – e “strucinare” un minimo al loro interno giusto per capire quali sono gli strumenti di sviluppo più sicuri.

File apk partendo da un’app installata su un telefono Android

Come già detto nell’altro articolo l’adb nient’altro è che un bridge tra dispositivo e macchina di sviluppo, e lo si può trovare nel percorso android-sdk/platform-tools/adb, dove “android-sdk” è il percorso di installazione dell’sdk Android (la posizione dipende da cosa si utilizza per sviluppare: Android Studio, Xamarin, Titanium, Ionic, …).

Utilizzando l’adb si può scaricare sulla propria macchina l’apk dell’applicazione che ci interessa con questi comandi:

adb shell pm list packages

adb shell pm path com.boh.nonso

adb pull /data/app/com.boh.nonso-2.apk path

Il primo elenca tutte le applicazioni installate, con il secondo si ottiene il path di quella che ci interessa e con il terzo la si scarica.

Listato con tutte le applicazioni installate sul dispositivo

“Esplorazione” dell’apk

Qui si va sul difficile… è sufficiente rinominare il file sostituendo l’estensione “apk” con “zip” e scompattare lo zip.

Studio dei sorgenti dell’applicazione

La fase più complessa principalmente perché l’applicazione potrebbe essere stata sviluppata nei modi più disparati.
Uno strumento utile è sicuramente il Dex2Jar, che come dice il nome permette di convertire il/i file .dex in dei .jar.
Quest’attrezzo però non va molto d’accordo con l’osx, e per farlo funzionare potrebbe essere necessario lavorare un po’ di martello e Stackoverflow, per esempio togliendo la cartella dove si trova il dex2jar dalla quarantena con xattr -rd com.apple.quarantine path.
Una volta dati i permessi di esecuzione allo script d2j-dex2jar.sh basterà eseguirlo e andare a prendere il file generato all’interno della directory del’applicativo:
sh d2j-dex2jar.sh -f apk_path

I file .dex

Qualunque sia lo strumento utilizzato per sviluppare l’applicazione almeno un file .dex c’è sempre, ma non è detto che il codice contenuto al suo interno sia significativo. Se infatti l’applicazione non è stata scritta nativamente in Java (o c++) il .dex serve solo come container/ponte per l’applicazione vera e propria, che potrebbe essere stata sviluppata in Javascript, C#, …
Un file .dex c’è ma non è detto che sia da solo; questo accade quando l’applicazione è stata compilata utilizzando il MultiDex per superare l’infame limite dei 65536 metodi della piattaforma Android.

Decompilazione dei .jar

Una volta ottenuti i jar, ovvero degli archivi contenenti i file .class (classi Java compilate), decompilarli per ottenere il codice Java originario è un gioco da ragazzi, ed è sufficiente aprirli con un decompilatore Java come Java Decompiler.

Senza aver studiato i vari casi nel dettaglio devo dire che tra tutti il sistema apparentemente più difficile da crackare sembra quello di Titanium, che minimizza e cripta il codice javascript originario inserendolo in delle HashMap contenute all’interno del codice java autogenerato dall’sdk di Titanium.

Applicazione scritta in Xamarin, decompilazione delle DLL

Se l’applicazione è stata sviluppata con Xamarin, ovvero scritta in C#, il codice contenuto nel file jar non è molto significativo; all’interno dell’apk però ci sono le dll che possono essere decompilate facilmente con un decompilatore .NET come ILSpy.

Libreria scritta con Xamarin e decompilata con ILSpy


Il processo di decompilazione potrebbe non essere perfetto, e infatti alcuni dettagli si perdono. Per esempio ILSpy non sembra (ancora) in grado di riconoscere le stringhe ottenute con un nameof sulle proprietà di un oggetto, o le stringhe scritte con sintassi $"{code}" (che vengono tradotte con delle string.format), ma per lo più si tratta di zucchero sintattico introdotto nelle ultime versioni del .NET mentre il grosso viene interpretato esattamente così com’era stato scritto originariamente.

Su reverse engineering ed offuscamento

La reverse engineering non è mai vista di buon occhio e, salvo rari casi come lo studio di sistemi esistenti al fine di garantirne l’interoperabilità con altri, è più o meno proibita.
Di certo quelli descritti sommariamente qui sopra sono esercizi molto utili a fini didattici e che in alcuni casi possono aiutarci a scovare bug in strumenti che utilizziamo tutti i giorni, quindi conoscere un po’ queste tematiche è cosa buona e giusta. Inoltre è bene sapere che il nostro lavoro potrebbe essere studiato con grande facilità da malintenzionati e/o concorrenti al fine di danneggiarci o copiare il nostro lavoro, ed è qui che entrano in gioco tutta una serie di buone pratiche su cosa includere o no all’interno della nostra applicazione.

L’offuscamento del codice è argomento controverso senza risposte precise, e in rete si possono trovare moltissime discussioni sull’argomento e vari strumenti per ciascun linguaggio.
In generale a mio avviso non conviene farci affidamento se è vostra intenzione proteggere delle password o rendere incomprensibile il codice di applicazioni molto famose per evitare che dei cracker trovino eventuali vulnerabilità, perché non esiste offuscamento che regga contro il tempo e la pazienza di pirati informatici degni di questo nome.
Al contrario potreste aver sviluppato un’applicazione che deve funzionare offline e al cui interno ci sono soluzioni avanzate e che vi danno un vantaggio competitivo su eventuali concorrenti; in questo caso può aver senso sviluppare tutte le “logiche di calcolo” in una libreria a parte e offuscare solo quella in modo da renderne più difficile lo studio e l’utilizzo da parte di malintenzionati… che poi magari uno sta a pagare per un offuscatore, a rallentare tutta la catena di deploy, a rischiare di inserire bug dovuti all’offuscamento, e il repository con il codice è accessibile via web da molti utenti con password deboli, o ancora più comune si pagano gli sviluppatori come degli operai di basso livello e li si lascia partire con la conoscenza o peggio con i sorgenti, ma questa è un’altra storia.

Xamarin.UITest: il nome inganna, ci si può testare (quasi) tutto

Al recente Xamarin Day di Roma l’MVP Massimo Bonanni ci ha parlato dello Xamarin UITest, framework basato su Calabash per la scrittura e l’automazione di test di accettazione nel mondo dello sviluppo mobile.
Niente di nuovo sotto il sole, se non che in precedenza mi ero fatto ingannare troppo facilmente dall’apparentemente elevato costo del servizio in cloud e non avevo approfondito.

Detto che su GitHub ci sono molti esempi di utilizzo, e che io stesso in un progetto al lavoro ho preso “fortemente spunto” dall’app sviluppata per Xamarin Evolve 2016, riporto qui un mio piccolo esperimento fatto con un’applicazione sviluppata in Titanium. Ebbene sì, il framework è stato sviluppato dal team di Xamarin, ma può essere usato per automatizzare il processo di test su ogni applicazione mobile per Android e iOS. Per Windows non ancora, e la cosa può far sorridere considerato chi è il nuovo padrone di Xamarin, ma magari un giorno colmeranno la lacuna.
Per intenderci, funziona con tutte le tecnologie, ma ha senso usarlo soltanto con quelle che renderizzano componenti nativi: Android, iOS, Xamarin, Titanium, React Native, Native Script, … con i framework ibridi basati su Cordova/Phonegap questo approccio è sbagliato perché tutta l’applicazione gira all’interno di una webview.

Esperimento con Appcelerator Titanium

L'albero degli elementi in un'applicazione Titanium, visualizzato tramite repl

L’albero degli elementi in un’applicazione Titanium visualizzato tramite repl

Quello sopra è l’albero degli elementi in una delle maschere dell’applicazione, così come Titanium l’ha generato a runtime. Gli elementi ci sono tutti, ma scriverci sopra dei test non è sempre banale perché non sempre ci sono degli id a cui poter fare riferimento e a volte bisogna ripiegare sul contenuto testuale. Mmmmm.

Quando si crea un progetto di tipo Xamarin.UITest Xamarin Studio genera in automatico una coppia di file, l’AppInitializer.cs e il Tests.cs. Naturalmente saremo poi liberi di modificare la struttura del nostro progetto come preferiamo (vedi l’app di Xamarin Evolve), ma in quei due file ci sono comunque tutti gli elementi di cui abbiamo bisogno per partire.

public class AppInitializer
{
    public static IApp StartApp(Platform platform)
    {
        if (platform == Platform.Android)
        {
            return ConfigureApp
                .Android
                .ApkFile ("/Users/m.piccotti/src/ti_eatevolution/build/android/bin/Eat Evolution.apk")
                .EnableLocalScreenshots()
                .StartApp();
        }

        return ConfigureApp
            .iOS
            //.AppBundle ("../../../iOS/bin/iPhoneSimulator/Debug/XamarinForms.iOS.app")
            .StartApp();
    }
}
[TestFixture(Platform.Android)]
//[TestFixture(Platform.iOS)]
public class Tests
{
    IApp app;
    Platform platform;

    public Tests(Platform platform)
    {
        this.platform = platform;
    }

    [SetUp]
    public void BeforeEachTest()
    {
        app = AppInitializer.StartApp(platform);
    }

    [Test]
    public void AppWorks()
    {
        //app.Repl();

        Func<AppQuery, AppQuery> title = (arg) => arg.Marked("Eat Evolution");
        Func<AppQuery, AppQuery> barFofoGarden = (arg) => arg.Marked("Bar Fofo Garden");
        Func<AppQuery, AppQuery> filtersButton = (arg) => arg.Class("ActionMenuItemView").Marked("Filters");

        // 1 - info page
        app.WaitForElement(title);
        app.Screenshot("1 - info page");
        Assert.IsNotNull(app.Query("JOIN US OR RECOMMEND").First().Text);

        app.TapCoordinates(100, 300);

        // 2 - list
        app.WaitForElement(barFofoGarden);
        app.Screenshot("2 - list");

        app.Tap(barFofoGarden);

        // 3 - Fofo Garden detail
        app.WaitForElement(barFofoGarden);
        app.Screenshot("3 - Fofo Garden detail");
        Assert.IsNotNull(app.Query("Bar Fofo Garden").First().Text);

        app.TapCoordinates(100, 100);
        app.WaitForElement(barFofoGarden);
        app.Tap(filtersButton);

        // 4 - filters screen
        app.WaitForElement(x => x.Marked("Confirm"));
        app.Screenshot("4 - filters screen");
        Assert.IsNotNull(app.Query("Confirm").First().Text);
        Assert.IsNotNull(app.Query("Cancel").First().Text);

        app.Back();
    }
}

Ora… chi è un po’ pratico di test automatici di unità potrebbe rimanere inorridito al vedere quell’unico metodo AppWorks; certo sarebbe bello se ogni asserzione potesse essere verificata isolatamente, il problema è che questi test sono più lenti di quanto si possa immaginare, e i servizi cloud si pagano a ore. In sostanza entro certi limiti può aver senso anche una robaccia come quella sopra.

Il log generato dal test

Il log generato dal test

Per la cronaca quelle sotto sono le schermate catturate dal test.

Giusto un giretto tra le altre piattaforme

Che tutto avrebbe funzionato anche con le altre tecnologie concorrenti di Xamarin e Titanium non avevo dubbi, ma un giro di prova ho preferito farlo comunque. Sotto potete vedere i miei esperimenti fatti con le applicazioni demo delle varie piattaforme.

Il tree in un'applicazione Native Script

Il tree in un’applicazione Native Script

Per qualche ragione che non ho avuto voglia di approfondire con React Native l’applicazione è esplosa, come se il bridge tra l’applicazione di test e quella da testare non abbia funzionato. Il comando tree richiamato con il repl (strumento utilizzabile da cli) ha visualizzato comunque l’albero degli elementi della schermata rossa.

Il tree in un'applicazione React Native

Il tree in un’applicazione React Native

Il tentativo con Ionic 2 l’ho fatto solo a scopo didattico, per vedere la famosa WebView. Teoricamente si può interagire con l’applicazione a furia di TapCoordinates, ma il test risultante sarebbe così fragile che non ha proprio senso perderci tempo. Per le applicazioni ibride basate su html tanto vale usare Protractor.

Il tree in un'applicazione Ionic 2

Il tree in un’applicazione Ionic 2

Conclusioni

Xamarin.UITest è una figata.

PRO:

  • È possibile interagire con il dispositivo mentre il test automatico è in atto, sia fisicamente che attraverso il repl
  • Con il comando tree da riga di comando si può visualizzare la struttura reale della propria applicazione così com’è stata renderizzata sul dispositivo, cosa che può tornare molto utile
  • Funziona su Android e iOS.
  • Con Xamarin Test Recorder si può registrare il proprio test andando poi a modificarne il codice
  • Il test in cloud è utile non solo per testare automaticamente su molti dispositivi diversi, ma anche per fare test specifici quando ci vengono segnalati dei bug su un dispositivo particolare che non abbiamo a disposizione
  • L’interfaccia web dei test in cloud è spaziale, ci da un sacco di informazioni anche sulle performance ed è possibile fare degli screenshot mirati in presenza di errori e non solo

CONTRO:

  • Non funziona su Windows
  • Il test recorder funziona solo per Android ed è stabile solo per Visual Studio
  • L’esecuzione dei test è lenta da far schifo
  • Il test in cloud costa un occhio della testa anche nella versione Newbie

Le icone raster su Android sono una noia, viva le shape drawable

Chi sviluppa web, o mobile utilizzando strumenti “simil-web” come Titanium e Ionic, da tempo ha imparato a utilizzare asset vettoriali o font, così da rendere impeccabile la resa sui dispositivi con risoluzioni diverse e facilitare operazioni come la modifica dinamica dei colori.
Purtroppo nel mondo dello sviluppo Android si tende ancora a utilizzare icone raster; per la scalatura nelle varie risoluzioni c’è chi fa tutto a mano, chi utilizza script di varia natura in combinazione con ImageMagick e chi si serve di strumenti online come Android Asset Studio.

Su Android l’approccio migliore al momento sembra quello delle Shape Drawables, ovvero immagini vettoriali definite in xml secondo un determinato formato, funzionalità disponibile solo dalla versione 5 di Android (Lollipop), ma abilitabile anche nelle versioni precedenti abilitando la Support Library.

Segnalo un bell’articolo che spiega benissimo come abilitare l’utilizzo degli asset vettoriali anche sulle versioni pre-lollipop e le modifiche da fare per evitare errori abbastanza str.nzi che possono far perdere qualche ora. Con i dovuti adattamenti tutto ciò vale anche per chi (come me) utilizza Xamarin.

Creazione dell’asset vettoriale da icone material e da svg

Qui sotto ci sono i passi da fare, più o meno, per crearsi con Android Studio un’icona vettoriale utilizzabile in Android. Moltissime sono già presenti tra quelle precaricate (material design), ma è possibile anche generarsele a partire dai propri svg.

Creazione di asset vettoriale da Android Studio

Creazione di asset vettoriale da Android Studio

Selezione di una delle icone material già presenti

Selezione di una delle icone material già presenti

Definizione dei dettagli dell'icona scelta

Definizione dei dettagli dell’icona scelta

Importazione di un'immagine raster in Inkscape

Importazione di un’immagine raster in Inkscape

Ridimensionamento dell'immagine vettoriale

Ridimensionamento dell’immagine vettoriale

Vettorizzazione dell'icona raster

Vettorizzazione dell’icona raster

Modalità di vettorizzazione

Modalità di vettorizzazione

Allineamento del tracciato vettoriale nell'immagine

Allineamento del tracciato vettoriale nell’immagine

Errore in fase di importazione dell'icona vettoriale in Android Studio

Errore in fase di importazione dell’icona vettoriale in Android Studio

Correzione dell'xml

Correzione dell’xml

Anteprima dell'svg importato in Android Studio

Anteprima dell’svg importato in Android Studio

Il risultato: icona vettoriale in formato xml

Il risultato: icona vettoriale in formato xml

Italia Coast2Coast: Portonovo-Orbetello a piedi in 14 mosse

italia-coast2coast-start

Nota per i lettori

Questo è soltanto un breve resoconto scritto una volta tornato a casa e senza grandi pretese, se non quella di un ausilio alla mia memoria quando comincerò a dimenticarmi i dettagli. È anche un modo per raccogliere in un’unica pagina tutte le cartine delle tracce che ho registrato su Wikiloc.
Se avete bisogno di tracce gps accurate per favore scaricatevi quelle di Simone Frignani dal suo sito, perché io non ho fatto altro che seguire le sue accorpando alcune tappe come mi rimaneva più comodo, e a volte ho fatto anche qualche piccolo errore. Vero che ho aggiunto alcune fontanelle e punti di ristoro incontrati lungo il percorso, ma purtroppo non sempre mi sono ricordato di registrarli quindi è una guida tutt’altro che completa.
Se decidete di fare questa traversata in agosto sappiate che in Toscana è difficilissimo trovare posti per dormire senza aver prenotato mesi in anticipo, quindi potreste aver bisogno di una tenda nello zaino e di tanto spirito di adattamento. Io fino all’Umbria ho prenotato sempre dall’ora di pranzo per la sera, e arrivato in Toscana ho iniziato a prenotare con uno/due giorni di anticipo e regolarmi con le tappe di conseguenza. L’eccessiva lunghezza dell’ultima tappa è soltanto figlia del non aver trovato sistemazioni comode a metà strada e della mia notevole resistenza al caldo e alla fatica, ma la sconsiglio sotto il sole di ferragosto e non credo che ripeterei l’esperienza.
Se volete godervi i paesini lungo la strada forse è meglio dividere il cammino in 18 tappe come consigliato dal suo ideatore, io facendolo in quattordici e alzandomi quasi sempre tardi purtroppo attraverso alcuni di questi paesi ci sono passato troppo velocemente o ero troppo stanco per godermeli.

Sull’equipaggiamento

Avevo già un paio di piacevoli esperienze di “camminate lunghe” in compagnia lungo il Cammino di San Benedetto, ma questa è stata la mia prima vera esperienza di cammino, e l’ho fatta da solo.
L’equipaggiamento l’ho preparato tenendo conto di tre fattori: l’essere solo, il non aver prenotato niente e la mia più che discreta resistenza al caldo.

Nello/sullo zaino, un Salewa The Pig 50:

  • tenda monoposto
  • tappetino da palestra arrotolabile
  • sacco lenzuolo in poliestere
  • piccola copertina in pile
  • un bastone da trekking di quelli telescopici
  • scatola di primo pronto soccorso con: acqua ossigenata, qualche pastiglia di tachipirina, cerotti, cerotti per vesciche, steri strip, cerotto a strappo, ghiaccio istantaneo
  • scatola con qualche etto di frutta secca/disidratata
  • due t-shirt tecniche di ricambio, un paio di mutande e uno di boxer (per variare lo sfregamento), tre paia di calzini tecnici, un paio di pantaloncini di poliestere da riposo/ricambio
  • spazzolino e dentifricio, filo interdentale che può sempre tornare utile
  • asciugamani in microfibra, abbastanza grande anche per asciugarsi dopo la doccia
  • un pezzo di sapone di marsiglia per il bucato e, all’occorrenza, per il corpo
  • corda e mollette
  • un paio di Vibram Fivefingers, da usare come scarpe di ricambio e/o da riposo
  • impermeabile, ombrellino e qualche busta di plastica
  • bottiglia di plastica da un litro, riempita a seconda delle tappe

Addosso:

  • scarpe da running Puma Descendant, collaudate ma non troppo usurate (comprate poco più di due anni fa su Amazon a 32€)
  • cappello da pescatore, comodo da mettere in tasca
  • t-shirt tecnica e pantaloni corti con cerniere convertibili lunghi, e tasche laterali
  • libro di Simone Frignani
  • smartphone con le tracce gps di Simone, come software ho usato Wikiloc e GPX Viewer
  • nel portaborraccia: borraccia termica da 0.75 (da riempire a ogni occasione), coltellino e minuscola bussola di emergenza, più un paio di Chupa Chups
  • nel marsupio: macchina fotografica, libro, fazzolettini di carta, cavo caricabatterie e batteria esterna

A conti fatti

Il materassino pieghevole l’ho usato un paio di volte per strada e una volta in tenda ma non lo riporterei, meglio “investire” qualche etto in più per un materassino di quelli autogonfianti così da soffrire meno la notte in tenda.
La macchina fotografica è stato un lusso che ho usato poco, forse bastava il telefono.
Una sera a Sorano ho avuto piuttosto freddo, una felpa leggera avrebbe fatto più comodo della piccola coperta in pile.
Di frutta secca ne ho portata troppa, uno o due etti sono sufficienti ma poi andrebbe usata solo in caso di emergenza.
I medicinali non li ho usati a parte l’acqua ossigenata, ma li riporterei tutti perché viaggiando soli non si può rischiare troppo.
Ho dimenticato di prendere ago e filo e ne ho avuto bisogno.
Il libro sarà che non mi ha preso particolarmente ma non ho avuto mai tempo/voglia di leggerlo, forse anche perché la sera sono stato spesso in compagnia. A conti fatti non so se lo riporterei, in caso forse meglio comprarsi un Kindle.
Non ho preso la protezione solare perché odio metterla, ma forse avrebbe fatto comodo perché mi avrebbe risparmiato una mezza insolazione e quest’abbronzatura da sfigato.
Non ho preso un taglia-unghie perché pensavo non ne avrei avuto bisogno, ma a un certo punto me lo sono fatto prestare da un affittacamere, forse sarebbe bene portarselo.
Non ho preso il deodorante, ma d’altronde l’uomo ha da puzza’.
Considerato che ho viaggiato in estate e senza aver prenotato niente, quindi senza vincoli, forse potevo evitare di portare uno tra l’impermeabile e l’ombrellino. Infatti non li ho usati.

I dubbi più grandi li ho avuti sulle scarpe, ma rifarei la scelta delle scarpe da running. Vesciche minuscole che non mi hanno dato alcun fastidio, e sono andato a velocità impensabili con gli scarponi. Certo ho rischiato qualche distorsione sui terreni più sassosi, e ho aumentato il rischio in caso di incontri ravvicinati con vipere, ma con gli scarponi non sarei arrivato in fondo quindi va bene così.

Le scarpe a fine cammino... arrivato a casa le ho buttate

Le scarpe a fine cammino… arrivato a casa le ho buttate

Per l’acqua mi sono regolato così: sulle tappe lunghe e senza paesini nel mezzo ho cercato di portarmi dietro sempre tutto il carico, quindi 1.75 litri, bevendo prima quella nella bottiglia di plastica (che entrava comunque nel portaborraccia). In caso di dislivelli grandi, di paesini ogni qualche chilometro e/o di tappa fatta prevalentemente di mattina, sono andato con la sola borraccia per risparmiare un chilo di peso.

Sulla preparazione

Mi è sempre piaciuto camminare e quando posso qualche escursione in compagnia la faccio, ma raramente vado sopra i 15km. Due settimane prima di incamminarmi sono andato un paio di volte al lavoro a piedi (17km andata e ritorno) e una volta sul Monte Vettore, e la settimana prima del cammino tutti i giorni al lavoro a piedi. Ho preferito però evitare di passare troppo per uno svitato, quindi al massimo mi sono portato dietro uno zainetto minimale, ben più leggero di quello che ho usato poi sul cammino. Questa cosa l’ho pagata, le prime tappe sono state devastanti per le mie spalle anche a causa dello zaino troppo pesante (10kg e passa) del tutto inadeguato ma che mi piace tanto.
Per piedi e gambe ho usato quasi sempre le scarpe da ginnastica che poi ho usato sul cammino, e una volta le Vibram Fivefingers. Meglio abituarsi a un paio di scarpe e usare sempre quelle, i piedi e i polpacci soffriranno molto meno i dislivelli e lo sforzo dovuto al peso dello zaino.

Le tappe

Premessa: avendo vissuto tutta la vita in zona Jesi conosco bene le prime tappe e non me le sono godute appieno anche per questo motivo.

1) Portonovo – Camerano – Osimo (01/08/2016)


La tappa più brutta, senza forse. Troppi attraversamenti di strade trafficate e paesaggi un po’ troppo urbanizzati.
Ho dormito e cenato a casa di un amico, quindi non ho minimamente studiato la situazione alloggi.

2) Osimo – Filottrano – Appignano (02/08/2016)


Sul guado del Musone confesso di aver imbrogliato accettando il passaggio di un tizio con il trattore che doveva andare dall’altra parte. A Filottrano ho conosciuto il primo coaster, Daniele, camminatore espertissimo ed estremamente preparato che mi ha dato qualche dritta per poi fermarsi a Filottrano.
Bello e difficile il tratto di strada imbrecciata nella Contrada Le Lame, fatta del pomeriggio almeno per me è stato uno dei punti più duri. Avendo avuto la brillante idea di utilizzare le mie Vibram Fivefingers invece delle ben più collaudate Puma Descendant, sono arrivato in fondo con entrambi i polpacci parecchio infiammati sull’esterno.
Ho dormito all’Agriturismo Il Confine: 50€ a mezza pensione, con cena e colazione ottimi e abbondanti a dir poco.

3) Appignano – Treia – San Severino Marche (03/08/2016)


Una delle tappe che mi ha messo più in crisi fisicamente, e non solo a causa della lunghezza. Il tratto di strada prima di arrivare sulla provinciale fatto di pomeriggio è stato tremendo a causa del sole e della mancanza di punti di ristoro, e arrivando a San Severino il colpo di grazia me l’ha dato la salita per arrivare dalle suore. A casa delle suore ho conosciuto Beppe, Luciana e Grazia, camminatori di lunga data.
Ho dormito e cenato all’Istituto delle suore convittrici: 38€ a mezza pensione. Le suore seppur in due e con calcolatrice “si sono confuse” con il resto e mi hanno fregato due euro.

4) San Severino Marche – Pioraco (04/08/2016)


Tappa fatta parzialmente con Beppe, Luciana e Grazia, ritrovati per strada in tarda mattinata… ma poi ci siamo lasciati per vari motivi. Prima di Seppio mi sono perso anche il bastone da trekking che avevo “fissato” allo zaino, e il barista di Seppio mi ride ancora dietro. Subito dopo ho trovato un bel bastone di legno, che opportunamente sistemato con il coltellino si è rivelato un ottimo sostituto. A cena nell’albergo di Pioraco ho conosciuto i due fratelli professori Francesco e Silvia, e poi mi sono dimenticato il cavo caricabatterie in camera…
Ho dormito e cenato all’Hotel Il Giardino: 50€ a mezza pensione, ancora trattato da re con cena e colazione assolutamente eccellenti.

5) Pioraco – Nocera Umbra (05/08/2016)


La tappa, fatta insieme a Grazia, Francesco e Silvia, non sarebbe stata nemmeno troppo difficile, ma credo di essere partito con qualche linea di febbre perché per tutta il giorno sono stato stanchissimo e una volta arrivato a Nocera Umbra mi sono ritrovato sopra ai 38°. La mattina dopo stavo già bene, ma considerato che quel giorno ha fatto il diluvio e la tappa per Assisi sarebbe stata la più difficile, ne ho approfittato per riposare e modificare lo zaino che mi stava sfasciando le spalle. Nel frattempo il buon Jacopo mi ha riportato il cavo dimenticato a Pioraco, e a cena ho conosciuto altri ragazzi, tra cui Emanuele e Claire.
Ho dormito entrambe le notti all’Albergo Europa: 30€ a notte con colazione. Padrone molto gentile, mi ha regalato un asciugamani e un set da cucito per foderare gli spallacci dello zaino.

6) Nocera Umbra – Assisi (07/08/2016)


Forse la tappa con il terreno più vario e difficile, fatta dopo un giorno di pioggia torrenziale non è stata proprio semplice con le mie scarpe da running. Ho rotto quasi subito il mio bastone di legno, ma seppur troppo corto si è rivelato ancora utile e ho continuato a usarlo. A Costa di Trex mi sono ritrovato in una sagra di paese, in cui ho re-incontrato Emanuele e Claire, conosciuti la sera precedente, e con cui ho concluso la tappa. Ad Assisi abbiamo cenato insieme noi tre, Daniele e Jacopo.
Ho dormito all’Ostello della Pace: 18€ con colazione. Economico ma il riposo non è stato dei migliori.

7) Assisi – Bevagna – Gualdo Cattaneo – Marcellano (08/08/2016)


Assisi splendida, Gualdo Cattaneo piccolo ma incantevole, tappa tosta a causa dei dislivelli solo dopo Bevagna
Ho dormito all’Agriturismo Il Cavaliere: 40€ a mezza pensione. Cena eccellente, padroni simpatici e gentilissimi, nota di merito per la signora Umbra che mi ha fatto sentire come a casa.

8) Marcellano – Todi – Acqualoreto (09/08/2016)


A inizio tappa mi sono reincontrato con Daniele, che però si stava fermando perché aveva cominciato da due ore, l’ho reincontrato a Todi insieme a Jacopo, ma ho deciso di proseguire per Acqualoreto. Tappa abbastanza stancante, specialmente l’ultimo tratto.
Purtroppo l’affittacamere che mi aveva detto di non preoccuparmi perché all’occorrenza mi avrebbe dato una camera si è eclissato, e la signora dell’agriturismo che aveva detto mi avrebbe lasciato mettere giù la tenda poi ci ha ripensato.
Ho dormito in tenda avanti a una casa disabitata.

9) Acqualoreto – Civitella del Lago – Corbara – Orvieto Scalo (10/08/2016)


Tappa semplicissima e abbastanza monotona, resa interessante solo dal passaggio vicino al lago e alla diga. La parte tra Corbara e Orvieto Scalo è stata di una noia mortale e con poca ombra, senza alcun tipo di ristoro a parte un agriturismo a metà strada che però al mio passaggio aveva già chiuso la cucina. Sono stato attaccato da un Ufo, forse solo un tafano gigante, che mi ha colpito a una gamba lasciandomi una ferita degna di un pugnale.
Ho dormito all’Albergo New Etruria: 47,30€ con colazione.

10) Orvieto Scalo – Orvieto – Bolsena – San Lorenzo Nuovo (11/08/2016)


L’ingresso a Orvieto l’ho fatto con la funicolare come consigliato nella guida, me ne sono accorto soltanto una volta arrivato sin lì seguendo la traccia gps e non me la sono sentita di andare a piedi.
A pochi chilometri da Bolsena ho ripreso Beppe, Luciana e Grazia, e insieme abbiamo percorso il tratto di trada fino a Bolsena, poi ho proseguito da solo.
Ho dormito al B&B Predio San Fernando di Acquapendente: 40,50€ con colazione. Sono arrivato a Acquapendente, in parte camminando e in parte facendo l’autostop, perché a San Lorenzo Nuovo non ho trovato posti economici per dormire, quindi i chilometri sono trentacinque abbondanti. Il passaggio me l’ha dato una famigliola eritrea, gli italiani naturalmente mi hanno ignorato.

11) San Lorenzo Nuovo – Grotte di Castro – Onano – San Quirico – Sorano (12/08/2016)


Il ritorno da Acquapendente me lo sono fatto a piedi perché l’autostop in assenza della famiglia eritrea di cui sopra non ha funzionato, e il bus non si vedeva. Quindi i km totali sono 37 circa. Notevolissimo l’ingresso nella valle del tufo, il passare di paesino in paesino ha reso la tappa piuttosto semplice.
Ho dormito all’Affittacamere San Marco: 35€ per il solo letto.

12) Sorano – Sovana – Pitigliano (13/08/2016)


Bellissima l’uscita da Sorano attraverso la via cava di San Rocco. Ho visto passare Marco, Daniela e Michele, incontrati poi la sera a Pitigliano insieme a Dario e Pietro.
Notevole anche il passaggio attraverso la Fattoria Aldobrandesca, più di mezz’ora a camminare sul fondo di una vigna.
Dopo Sovana, in cui mi sono ritrovato un caffé offerto dalla proprietaria del bar Simona, ho visto un totale disinteresse verso noi camminatori. L’alta stagione e l’inondazione di turismo della Toscana sicuramente non ha aiutato. Bello anche l’ingresso a Pitigliano, ma meno della via cava di Sorano.
Ho dormito all’Albergo Guastini: 40€ per il solo letto.

13) Pitigliano – Manciano (14/08/2016)


Questa tappa me la ricorderò principalmente per il quasi tuffo che per poco non ho fatto guadando il torrente, perché ho provato a filmare l’ultima parte (più facile) e per poco non mi sbilancio e cado all’indietro. Poi ho iniziato a tirare abbestia per riprendere Marco, Michele e Daniela che erano partiti un’ora e mezza prima di me, e per un bel tratto ho anche tenuto dietro due cavalli tenendo un passo di 6 km/h, che non sono pochi considerando lo zaino, il caldo e i dislivelli.
Ho dormito all’Hotel Miravalle: 45€ per il solo letto.

14) Manciano – Capalbio – Ansedonia – Le Miniere – Orbetello Scalo (15/08/2016)


Tra Manciano e Capalbio mi sono incontrato nuovamente e per l’ultima volta con il trio sopra, e abbiamo camminato per un po’ insieme, finché notando un rallentamento e avendo bisogno di tenere il passo per arrivare presto e potermi riposare li ho lasciati. In teoria avevo trovato un posto in un camping dalle parti di Ansedonia, e dopo aver riposato e mangiato un po’ a Capalbio e essermi fatto una chiacchierata con un vecchio di paese e un altro coaster su due ruote, sono ripartito verso le 14:15 per arrivare ad Ansedonia e in caso proseguire. Nel passaggio in zona di caccia al cinghiale ho notato moltissime tracce del maiale setoloso, ma fortunatamente nessun avvistamento. Il caldo assurdo mi ha fatto venire più di un dubbio, ma arrivato ad Ansedonia ho deciso di provare a concludere cercando di prendere il treno delle 21:45 per Roma da Orbetello. Poco più di un’ora sull’interminabile e un po’ noioso “Tombolo”, breve passaggio sull’Argentario, foto di rito al tramonto a Orbetello, barcollamenti vari per un’altra ora abbondante verso la stazione di Orbetello Scalo e poi via verso Roma.
Ho dormito in un albergo vicino alla stazione Roma Termini.

Tana!

Tana!

Prototipazione (molto) rapida

Qualche tempo fa mi è venuta voglia di fare un corso sulla prototipazione rapida di applicazioni che ho trovato su Udacity, ma negli ultimi tempi non mi è servito fare alcun prototipo… finché al lavoro – meno di un mese fa – non abbiamo dovuto cominciare da zero lo sviluppo di una nuova applicazione per Android.

Corso Udacity sulla prototipazione rapida

Corso Udacity sulla prototipazione rapida

Ci poteva stare lavorare inizialmente a prototipi per definire l’interfaccia utente, ma per evitare frizioni con i colleghi designer e per “risparmiare tempo” ho preferito evitare. Finché un bel giorno mi arriva la notizia di un tirocinante del quarto superiore in cerca di qualcosa da fare per una settimana, al che gli affido il corso web, l’analisi funzionale dell’applicazione da sviluppare e un blocco note.
Ebbene un ragazzo del quarto superiore totalmente nuovo al mondo della UX design dopo tre giorni mi ritorna con un prototipo di applicazione interattiva disegnata con la matita, e negli ultimi due giorni di test e raffinamenti progressivi ci siamo ritrovati con una bozza da cui prendere spunto fatta da un ragazzo inesperto e apparentemente “inutile”.

Per carità, se non si ha bisogno di progettare un’interfaccia utente innovativa e l’applicazione in oggetto sarà uno strumento di lavoro probabilmente può bastare seguire le linee quida del material design e utilizzare solo componenti standard per ottenere un buon risultato. Ciò non toglie però che per definire l’ordine delle voci di menù, la posizione di campi e pulsanti, l’interattività tra le varie componenti, fa comodo capire come ragionano gli utenti tipo dando loro in mano qualcosa da provare, possibilmente prima di mettersi a sviluppare.

Mockup, wireframe, sketch

Di strumenti per disegnare bozze delle proprie maschere ce ne sono tanti. Tra quelli gratuiti e open-source il migliore che conosco è Pencil, ma per la mia (poca) esperienza all’inizio conviene lavorare di carta e penna, o di tavoletta grafica quando se ne ha una.
Gli strumenti consigliati nel corso

InVision

Secondo me i prototipi sono belli se interattivi. Va bene che tutto fa brodo, e anche delle maschere disegnate su un blocco note e mostrate a un potenziale utente sono ottime per raccogliere informazioni, ma non c’è niente come osservare quell’utente mentre cerca di capire i meccanismi dell’applicazione e come raggiungere i suoi obiettivi. Per fare questo il miglior mezzo che ho trovato finora è InVision, e non a caso lo consigliano sul corso.

I tipi di prototipi disponibili

I tipi di prototipi disponibili

Aggiunta di hotspot alle proprie bozze

Aggiunta di hotspot alle proprie bozze

Aggiunta di commenti

Aggiunta di commenti

Chat di gruppo

Chat di gruppo

Condivisione del prototipo

Condivisione del prototipo

In questa breve carrellata ho elencato le funzionalità più interessanti secondo me, dalla scelta del tipo di dispositivo alla condivisione del risultato. InVision si può usare partendo da disegni a matita ma anche da prototipi più fedeli fatti con Pencil o altri strumenti simili, e il suo funzionamento è molto intuitivo. Per chi fa il corso su Udacity dovrebbe esserci anche una licenza gratuita di alcuni mesi, ma anche senza di questa i prototipi si possono fare (in numero limitato) e condividere.
Volendo c’è anche un’applicazione in stile Dropbox che aiuta a mantenere sincronizzate le immagini caricate sul prototipo con quelle sul proprio computer, così da poterle modificare più facilmente.

Per smartphone c’è un’applicazione simile chiamata POP che però secondo me è meno comoda e intuitiva. Un’applicazione web si utilizza più facilmente e InVision è difficilmente migliorabile.